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Sabato, 27 Aprile 2024
Lavoro e diritti

La legge europea in difesa dei rider bloccata dall'Italia

Più tutele e un miglioramento delle condizioni economiche: la storica direttiva Ue per i lavoratori delle piattaforme si è arenata all'ultimo miglio. Pesano i no di Meloni e Macron

La morte del rider 50enne Lello Acampora, deceduto in incidente nel Napoletano mentre era in servizio, ha riacceso i riflettori sulle condizioni dei lavoratori del settore. Condizioni che Commissione e Parlamento europeo hanno proposto di migliorare in tutto il continente attraverso una legge che introduce più diritti e tutele, oltre a combattere il fenomeno delle false partite Iva. Ma la proposta, dopo un lungo iter, si è arenata all'ultimo miglio. A far sfumare l'approvazione definitiva della legge è stato il parere contrario di alcuni Stati membri, a partire da Italia e Francia. E Parigi si oppone ora anche all'utilizzo di quella bozza di accordo come punto di partenza per le negoziazioni future da parte della presidenza belga dell'Ue.

L’accordo provvisorio

Il via libera provvisorio alla prima direttiva per regolamentare le prestazioni dei lavoratori digitali, inclusi i rider e gli autisti delle piattaforme online (come Deliveroo e Uber rispettivamente), era arrivato lo scorso 14 dicembre in sede di trilogo, dopo un travagliato iter legislativo durato due anni. L'obiettivo, rivendicato dal centro-sinistra che lo aveva definito "storico", era quello di garantire più diritti ai lavoratori del settore contrastando il fenomeno dilagante delle cosiddette "false partite Iva", cioè la contrattualizzazione come lavoratori autonomi per persone che, in realtà, lavoravano come dipendenti per le aziende.

E non si tratta di noccioline: i lavoratori interessati sono circa 28 milioni in Europa, impiegati su oltre 500 piattaforme di lavoro digitale per un giro d'affari di 20 miliardi di euro all'anno. Si stima che entro la metà del decennio si raggiungerà quota 43 milioni di lavoratori digitali: di questi, nove su dieci hanno un contratto a partita Iva, ma ci sarebbero circa 5,5 milioni di finti autonomi che però non possono ancora contare su un quadro normativo chiaro per far valere i propri diritti. Peraltro, secondo la Commissione, circa il 55% di questi occupati percepisce una retribuzione inferiore al salario minimo orario nel Paese in cui lavorano.

Presunzione legale e algoritmi

Uno dei punti cardine della direttiva era quindi il riconoscimento dei lavoratori dipendenti, che veniva facilitato tramite alcuni criteri comuni per tutti i Paesi membri e ai quali i singoli Stati potevano aggiungerne di ulteriori. In presenza di almeno di due questi elementi, il lavoratore avrebbe potuto richiedere alla piattaforma che lo impiega di sottoscrivere un contratto da dipendente subordinato, o presentare ricorso in caso il suo datore di lavoro rifiutasse di concederglielo, invertendo così l'onere della prova che passava dal prestatore al datore di lavoro.

Tali criteri erano: dei limiti massimi imposti sulla retribuzione del lavoratore; dei controlli sul loro lavoro, anche tramite mezzi elettronici ed algoritmi digitali; dei controlli sulla distribuzione o assegnazione delle mansioni; dei controlli sulle condizioni di lavoro e restrizioni sulla libera scelta dell'orario di lavoro; e infine delle restrizioni circa la libertà di organizzare il proprio lavoro nonché delle norme specifiche su aspetto e comportamento da tenere sul posto di lavoro.

Inoltre, la direttiva prevedeva un obbligo in capo alle aziende di prevedere una "supervisione umana dei sistemi automatizzati per garantirne la conformità alle condizioni di lavoro", dando peraltro ai lavoratori "il diritto di contestare le decisioni automatizzate, come la chiusura o la sospensione degli account" utilizzati per lavorare. Veniva proibito anche il ricorso ad algoritmi e intelligenza artificiale per prevedere, ad esempio, se i lavoratori intendessero scioperare o aderire ad una sigla sindacale.

La retromarcia del Consiglio

Ma appena una settimana dopo l'accordo, già il 22 dicembre i governi nazionali non erano riusciti ad approvare la direttiva, in un duro colpo per la presidenza spagnola che stava per terminare il suo mandato semestrale. Ad opporsi all'intesa sono stati una dozzina di Stati membri, tra cui Francia e Italia, mentre la Germania si sarebbe astenuta dalla discussione.

Il nodo cruciale che non è riuscito a trovare il favore del governo francese (da sempre critico rispetto alla normativa in questione) è proprio la presunzione legale di occupazione, cioè il meccanismo descritto precedentemente per cui un lavoratore si presume dipendente e sta al suo datore di lavoro dimostrare il contrario in sede giudiziaria. In sostanza, i criteri per l'attivazione della presunzione sono stati ritenuti troppo stringenti, nonostante fossero scaturiti da una lunga negoziazione tra i co-legislatori, i quali erano partiti da posizioni molto diverse.

Parigi vs Bruxelles

I negoziati tra rappresentanti della Commissione, del Consiglio e del Parlamento sono dunque continuati nelle prime settimane del nuovo anno, sotto la presidenza belga, ma è stata ancora Parigi ad opporsi all'utilizzo del testo bocciato a dicembre come punto di partenza per cercare una nuova quadra. E con le elezioni europee di giugno che si avvicinano, quella di Bruxelles è una vera e propria corsa contro il tempo per centrare l'approvazione della direttiva prima che cominci il nuovo ciclo politico dell'Unione.

Il Belgio ha provato a concedere alcune aperture ai governi più critici, ma pare che non siano sufficienti. La Francia, in particolare, riterrebbe che tanto Madrid quanto Bruxelles stiano andando oltre il loro ruolo di mediatori neutrali che si richiede alla presidenza di turno, e che stiano facendo pendere troppo la direttiva dalla parte dei lavoratori, a discapito delle aziende.

Al contrario, secondo Parigi, servirebbe un approccio più flessibile e attento alle esigenze complessive del mercato nonché alle specificità dei sistemi giuridici nazionali, e andrebbe rispolverato l'approccio generale del Consiglio adottato sotto la presidenza svedese nel giugno del 2023. Non solo i criteri da soddisfare per attivare la presunzione legale sarebbero troppo pochi, ma sarebbero anche talmente generali che finirebbero per essere applicati a tutte le piattaforme, indipendentemente dal loro settore di attività, il che andrebbe a danneggiare anche i "veri" lavoratori autonomi.

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