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Martedì, 19 Marzo 2024
Lavoro

Dall'Ue nuove tasse per 35 miliardi, ma colpiranno multinazionali e industrie inquinanti

Bruxelles propone una serie di imposte, dalla Carbon tax a quella suo giganti del web, che andranno a finire direttamente nelle casse europee e che potrebbero finanziare il 13% dell'intero bilancio comune. Ma dalle acciaierie all'Olanda, c'è chi si oppone. Ecco di cosa si tratta

Le premesse per sollevare polemiche, soprattutto in Italia, ci sono tutte: un piano che viene da lontano e a cui ha lavorato l'ex premier Mario Monti, una cessione di sovranità fiscale da parte degli Stati a favore dell'Unione europea, settori industriali, come quello dell'acciaio, che lamentano da anni di essere in crisi e che verrebbero colpiti. D'altra parte, però, c'è chi vi vede la possibilità di una grande opera di redistribuzione a danno dei grandi capitali nel nome della giustizia e dell'equità fiscale, della concorrenza leale e della lotta per l'ambiente. C'è tutto questo dietro le nuova tasse che la Commissione europea ha proposto di istituire per finanziare una parte cospicua del prossimo bilancio europeo (fondo per la ricostruzione compreso) evitando di gravare direttamente sulle tasche degli Stati nazionali. 

245 miliardi in 7 anni

Nel complesso, secondo quanto si legge nella comunicazione di Bruxelles sul Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, queste nuove tasse potrebbero portare a introiti fino a 35 miliardi l'anno. Che moltiplicati per i 7 anni del periodo finanziario, garantirebbero circa 245 miliardi, coprendo il 13% dell'intero bilancio. Una tassa sullo scambio di emissioni (Ets) potrebbe raccogliere circa 10 miliardi all'anno. Il meccanismo di aggiustamento carbonio alla frontiera potrebbe generare tra i 5 e i 14 miliardi. Una tassa sulle grandi imprese potrebbe raccogliere circa 10 miliardi. La digital tax potrebbe generare entrate per 1,3 miliardi. 

Al di là degli aspetti specifici, a livello generale la principale novità di queste nuove imposte è che verrebbero raccolte direttamente dall'Ue senza passare all'incasso Paese per Paese, ma anche senza gravare direttamente sui contributi nazionali. Detta così, sembrerebbe una panacea. Ma chiaramente, l'operazione ha dei costi. E a pagarli potrebbero essere anche Stati membri come Olanda, Irlanda e Lussemburgo, ossia quelli che secondo alcuni rappresentano i paradisi fiscali all'interno dell'Ue. Ecco perché il piano sulle "risorse proprie", così vengono chiamate a Bruxelles le nuove potenziali tasse, è da tempo bloccato al tavolo negoziale dei Paesi Ue: una prima proposta era stata avanzata nel gennaio 2017 dal team di esperti guidato dall'ex premier Monti. Nel 2018, l'allora presidente dalla Commissione, Jean-Claude Juncker, aveva inserito parte di questa proposta nella prima bozza di bilancio 2021-2027. E adesso, dopo discussioni infinite tra i ministri delle Finanze e i leader Ue, la nuova presidente Ursula von der Leyen l'ha rispolverata. Vediamo i dettagli.

Una tassa sull'Ets

L'Ets è il sistema di scambio di emissioni inquinanti dell'Ue: funziona come un mercato finanziario, ma invece di titoli e azioni, lo scambio riguarda quote di emissioni, ossia permessi di inquinare tra le grandi industrie pesanti, come acciaieri o cementifici. Il sistema mira a incentivare le imprese a ridurre il loro impatto sull'ambiente senza contraccolpi sull'occupazione, ma secondo diversi studi in questi anni l'Ets ha funzionato per alcuni settori e non per altri. Consentendo ad alcuni grossi gruppi industriali di conseguire dei lauti profitti, riducendo il personale invece di innovare gli impianti. La proposta di una tassa sull'Ets colpirebbe proprio questi profitti e funzionerebbe un po' come una imposta sulle transazioni finanziarie. Inoltre, la Commissione propone di allargare l'Ets anche a settori finora esclusi come quello dei trasporti aerei e marittimi.   

Il meccanismo di aggiustamento carbonio alla frontiera

Legata in qualche modo all'Ets c'è la cosiddetta Carbon border tax, o meccanismo di aggiustamento carbonio alla frontiera. In pratica, l'Ue prevede di tassare alcune materie prime che vengono importate da Paesi terzi nel mercato europeo in base al loro contenuto di Co2, ossia in base all'inquinamento generato per la loro produzione. L'obiettivo dichiarato da Bruxelles è, oltre alla raccolta di fondi, quello di proteggere le imprese europee che fanno sforzi per ridurre le loro emissioni dalla concorrenza sleale dei prodotti a basso costo provenienti da Paesi che non impongono gli stessi standard ambientali. Questa imposta, come quella sull'Ets, non piace però alle multinazionali dell'acciaio e del cemento, per esempio, che alimentano i loro stabilimenti europei (e non solo) con materie prime prodotte dalle loro stesse industrie presenti in Paesi extra-Ue. 

L'imposta sulle grandi imprese

"Le imprese che traggono enormi vantaggi dal mercato unico dell'Ue e che sopravviveranno alla crisi, anche grazie al sostegno diretto e indiretto dell'Ue e degli Stati nazionali, potrebbero contribuire a ricostruirlo nella fase di ripresa. Ciò potrebbe includere una risorsa propria basata sulle operazioni" di queste imprese. E' quanto si legge in uno dei passaggi della proposta della Commissione. Di chiaro c'è ben poco, ma su questa nuova imposta Bruxelles dichiara di puntare a raccogliere 10 miliardi all'anno. Facendo un raffronto con la proposta dell'ex Commissione Juncker, potrebbe trattarsi della base imponibile consolidata comune per l'imposta sulle società.

In sostanza, si tratterebbe di una imposta centralizzata che pagherebbero quelle multinazionali che operano in più Stati Ue pur avendo la sede fiscale (e quindi la relativa tassazione) in uno solo di essi. E' il caso, per esempio, di quelle multinazionali che realizzano profitti in tutta l'Ue, ma pagano le (poche) tasse in Olanda e Lussemburgo. Uno studio ha calcolato che i soli accordi fiscali tra giganti Usa e Paesi Bassi hanno 'tolto' al nostro Paese incassi pari a 1,5 miliardi di dollari nel bienno 2016-2017. La base imponibile comune colpirebbe questo fenomeno di elusione fiscale all'interno dell'Ue e non a caso l'Olanda (insieme a Svezia, Lussemburgo, Danimarca e Irlanda) è tra i Paesi che più si oppongono alla sua istituzione. A Bruxelles, se ne discute dal 2011. E il fatto che von der Leyen non la citi espressamente potrebbe significare che la Commissione è pronta a negoziare su questa tassa con gli oppositori. Magari in cambio di concessioni sugli aiuti a fondo perduto e i bond previsti dall'ultima proposta di bilancio.  

La digital tax

Tra le nuove imposte, trova spazio uno dei cavalli di battaglia della Francia, la digital tax. L'imposta verrebbe "applicata alle società con un fatturato superiore ai 750 milioni di euro", scrive la Commissione e di fatto andrebbe a colpire i GAFA, ossia i big del digitale come Google e Facebook, gli stessi che trovano vantaggi dai regimi fiscali agevolati di alcuni Paesi Ue. Non a caso, alla digital tax si oppongono gli stessi Paesi contrari alla base imponibile comune.

La tassa sulla plastica

Era stata una delle novità della proposta di bilancio di Juncker, ma è scomparsa dal testo di von der Leyen. Ma secondo quello che dicono fonti vicine alla Commissione europea, l'ipotesi di introdurre una tassa sulla plastica non è stata del tutto abbandonata da Bruxelles. L'imposta, come ideata da Juncker, prevedeva un contributo in base alla quantità di rifiuti non riciclati di imballaggi in plastica. In Italia, soprattutto dalle parti dell'Emilia Romagna, dove l'industria degli imballaggi è molto fiorente (e potente), c'era stata una levata di scudi contro questa proposta. L'Ue sembra averci per il momento rinunciato, nonostante i 9 miliardi di introiti che avrebbe garantito, secondo i calcoli di Bruxelles. Oltre alla riduzione dell'impatto di tali imballaggi sull'ambiente.  

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