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Sabato, 27 Aprile 2024
Il braccio di ferro

Sulle concessioni balneari l'Europa zittisce Salvini

Il governo ritiene che le concessioni balneari si possano prorogare perché il 67% delle spiagge italiane è libera: "La risorsa non è scarsa". Ma Bruxelles non la vede così

L'annoso braccio di ferro tra la Commissione europea e l'Italia sulla questione delle concessioni balneari potrebbe presto finire in tribunale e aprire la strada a una pesante multa per il nostro Paese. Bruxelles ha deciso di compiere un passo avanti nella procedura d'infrazione lanciata nel 2020, inviando un parere motivato a Roma. Dall'Ue hanno fatto sapere che questo atto non pregiudica le trattative in corso, come a voler sminuire la portata politica della lettera inviata al governo di Giorgia Meloni. E il ministro Matteo Salvini ha replicato a stretto giro dicendo che l'esecutivo italiano è pronto "a dare risposte immediate alla Commissione europea sul tema balneari", aggiungendo che sta "già lavorando da mesi nella direzione auspicata" da Bruxelles. Ma leggendo le 31 pagine del parere motivato, che EuropaToday ha potuto visionare, i toni della Commissione non sembrano proprio diplomatici, anzi. E fanno pensare che sull'asse Bruxelles-Roma potrebbero cominciare a volare stracci.

La Commissione contesta innanzitutto il modo in cui il governo ha gestito le trattative. A Bruxelles non è andata giù la legge 14/2023, che "mira a mantenere la validità delle attuali 'concessioni balneari' almeno fino al 31 dicembre 2024 e, potenzialmente, per un periodo illimitato o comunque indefinito oltre tale data". La Commissione ricorda che già le precedenti misure di proroga da parte dell'Italia erano state "ritenute contrarie al diritto dell'Unione" da una sentenza della Corte di giustizia Ue del 2016, le cui conclusioni sono state confermate successivamente, nel 2021, da due sentenze della stessa giustizia italiana (il Consiglio di Stato per la precisione). "Si può pertanto concludere che le autorità italiane non abbiano risposto alle obiezioni sollevate" nel 2020 quando fu aperta la procedura d'infrazione, né alla sentenze dei giudici italiani ed europei. Anzi, hanno riproposto le stesse misure già ritenute illegali dalla giustizia Ue perché contrarie all'ormai famosa direttiva Bolkestein.

"Inoltre - aggiunge Bruxelles - si rileva che la legge 14/2023 è stata adottata nonostante le discussioni intraprese in parallelo con la Commissione volte ad introdurre i principi di trasparenza, non discriminazione e proporzionalità" previsti dalla direttiva. In sostanza, se il governo italiano a Bruxelles dava l'impressione di voler cooperare, a Roma ha tirato dritto sulla sua strada. Un atteggiamento, questo, che potrebbe aver compromesso il dialogo. In più la Commissione sottolinea come anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella abbia espresso "specifiche e rilevanti perplessità" sulla proroga delle concessioni quando ha promulgato la legge.

Il provvedimento contestato risale a febbraio. Come mai Bruxelles ha deciso solo adesso di intervenire inviando un parere motivato? Interrogato su questo, il portavoce della Commissione ha detto che si tratta di normali tempi burocratici. Ma il sospetto è che l'esecutivo Ue voglia stoppare sul nascere un nuovo tentativo di Roma di prendere tempo, superando anche la scadenza del 31 dicembre 2024. La maggioranza di governo, infatti, sta valutando di presentare a Bruxelles una proposta per risolvere il nodo concessioni che si basa su una mappatura del tavolo tecnico di Palazzo Chigi fatta sulle spiagge italiane e resa nota a inizio ottobre. "Il tavolo consultivo istituito presso la presidenza del Consiglio ha attestato sulla base dei dati disponibili - dopo gli approfondimenti del Mit - che solo il 33% della risorsa (ossia delle spiagge italiane, ndr) è occupata, per cui non possiamo parlare di una risorsa scarsa'', ha detto Salvini. 

La definizione di "risorsa scarsa" è centrale, come vedremo. Il provvedimento che il governo vuole adottare, infatti, secondo quanto emerso finora, aprirebbe sì ai bandi di gara ma solo per i tratti di costa attualmente liberi da concessioni, le spiagge libere, senza toccare quelle attualmente assegnate. In questo modo, si allargherebbe il numero di imprese operanti in Italia, verrebbe meno la cosiddetta "scarsità della risorsa", che è uno dei criteri di applicazione della Bolkestein, e si eviterebbe di mettere a gara le concessioni esistenti. Almeno questo è il parere di chi sta lavorando alla proposta. Ma nel suo parere motivato la Commissione sembra stoppare sul nascere questa sorta di compromesso.

Nel suo parere, infatti, Bruxelles fa riferimento proprio allo studio del tavolo tecnico di ottobre, e spiega che la scarsità della risorsa non va calcolata solo su scala nazionale, ma anche su base locale, per la precisione a livello comunale, dato che sono i Comuni a rilasciare le concessioni. Ed è qui che la scarsità è palese: secondo le analisi di Legambiente, per esempio, in regioni come Liguria, Emilia-Romagna e Campania, "quasi il 70% delle spiagge è occupato da stabilimenti balneari". E ci sono diversi Comuni, tra cui località balneari di grido, dove la percentuale di occupazione degli stabilimenti supera il 90% delle spiagge presenti.    

"È opportuno ribadire la posizione della Commissione illustrata nella lettera di costituzione in mora, nel senso che è evidente che, quanto meno per una parte delle proprietà demaniali marittime, lacuali e fluviali disponibili per le attività ricreative e turistiche in cui sono rilasciate ‘concessioni balneari’, esiste un elemento di scarsità - scrive Bruxelles - Tuttavia, la normativa italiana in questione prevede una proroga automatica generalmente applicabile a tutte le ‘concessioni balneari’ in Italia". Detto altrimenti, "quand’anche si dimostrasse che non vi sia scarsità di risorse naturali in alcuni casi specifici, tali disposizioni, essendo di natura generale e assoluta, non potrebbero tener conto di casi specifici a livello locale", avverte la Commissione. 

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