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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Dai tax ruling al web, la battaglia Ue per un fisco più equo (e per far cassa)

I tre fronti di Bruxelles contro i giganti del settore digitale. Gli Stati membri vogliono che le multinazionali paghino i giusti contributi fiscali in Europa, dove fanno profitti, anche se le loro sedi centrali sono in Paesi terzi. Si pensa di considerare il fatturato come base imponibile

L'Unione europea continua il suo percorso per costringere le grandi multinazionali, principalmente statunitensi, a pagare le loro tasse in Europa quando qui fanno profitti anche se le loro sedi fiscali si trovano in altri Paesi. Bruxelles ha cominciato con la riforma dei cosiddetti "tax rulings", ovvero gli accordi fiscali scali anticipati che alcuni Paesi, come Irlanda e Lussemburgo, hanno utilizzato, concedendo condizioni molto convenienti, per attirarne l'attività delle multinazionali straniere sul proprio territorio. C'è stato poi l'intervento dell'Antitrust che sta combattendo a suon di sanzioni i giganti del web come Google che, dopo anni di indagine da parte della Commissione europea, ha ricevuto una multa da 2,42 miliardi di euro per abuso di posizione dominante nel campo dello shopping online.

Il terzo fronte su cui si sta svolgendo questa 'battaglia' è quello della "web tax". Si tratta del tentativo, avviato da tempo ma su cui si è recentemente accelerato il dibattito, di mettere a punto un'imposta comune sulle attività che le multinazionali di internet come Amazon, Apple, Google ma anche la cinese Alibaba, realizzano in Europa pur non avendo la sede centrale in un Paese membro dell'Unione.

La web tax

L'Unione europea ha recentemente accelerato le discussioni per arrivare a imporre ai "giganti del web" un'equa imposizione fiscale, che permetterebbe, per dirla con le parole del presidente francese Emmanuel Macron, di avere le risorse finanziarie per affrontare la rivoluzione digitale in corso. Entro la fine della presidenza estone del Consiglio Ue, ovvero entro la fine dell'anno, i 28 dovrebbero riuscire a raggiungere una posizione comune in materia mentre la Commissione europea si è già impegnata a presentare una proposta legislativa entro la prossima primavera. Paesi come la Francia, l'Italia, la Spagna e la Germania hanno proposto una soluzione "a breve termine" che prevede di considerare il fatturato e non i profitti delle multinazionali di internet come base imponibile. All'idea hanno dato il loro appoggio una ventina di Paesi in tutto, ma alcuni, fra i quali naturalmente ci sono Irlanda e Lussemburgo, sono contrari. C'è poi l'idea di Bruxelles di procedere anche per i giganti del web come per le altri multinazionali alla creazione di una "base imponibile unica", o Ccctb secondo l'acronimo inglese, ma questa potrebbe essere una soluzione a più lungo termine, mentre tutti concordano sulla necessità di agire con urgenza, e possibilmente a livello globale con Ocse e G20.

I tax ruling

L'Antitrust di Bruxelles ha intimato al Lussemburgo di farsi restituire circa 250 milioni di "benefici fiscali illegali" da Amazon, che ha beneficiato di un trattamento fiscale favorevole che ha distorto la concorrenza con le altre società del settore delle vendite online. La richiesta mira a riportare la situazione alla normalità e non sono previste sanzioni per l'azienda o il Granducato, ma semplicemente la restituzione di quanto illegalmente sottratto al fisco. Sempre oggi, la Commissione ha deferito l'Irlanda alla Corte europea di giustizia per non aver provveduto a farsi restituire da Apple i 13 miliardi di "mancato gettito", che oltre un anno fa l'esecutivo di Bruxelles aveva bollato come "aiuti di stato illegali". Anche in questo caso, non è previsto che ci siano multe ma semplicemente il ripristino di una situazione equa in termini di concorrenza.

La maxi multa a Google

Il 27 giugno scorso, la Commissione ha inflitto a Google la multa record di 2,42 miliardi per abuso di posizione dominante sul mercato dei motori di ricerca, per avere favorito illegalmente il suo servizio di confronto fra i prezzi. L'effetto, secondo l'antitrust europeo, è quello di penalizzare la concorrenza nello specifico segmento di mercato dei confronti fra prezzi. Google, si diceva nella decisione, supera il 90% del mercato dei motori di ricerca nella maggior parte dei 31 paesi dello Spazio economico europeo almeno dal 2008. Non era il primo provvedimento Ue nei confronti di Google: c'era anche stato, il 20 aprile del 2016, un avvio di procedura contro lo stesso motore di ricerca per abuso di posizione dominante nel sistema di utilizzo delle applicazioni per i telefoni Android: in quel caso, Google era accusata di imporre restrizioni ai produttori di smartphone e agli operatori delle reti mobili per evitare che installassero altri sistemi operativi.  

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