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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Malta-Italia, dietro la guerra sui migranti tanti affari (anche sporchi)

Fu il nostro paese a spingere l'Isola dentro l'Ue. E oggi "guadagniamo" 1 miliardo l'anno in scambi commerciali. Ma non solo: tra giri vorticosi di denaro e trivellazioni di petrolio, la lista dei rapporti è lunga. E non sempre sono leciti

La vicenda della nave Aquarius carica di migranti che il ministro degli Interni Matteo Salvini vorrebbe fare attraccare a Malta riporta in auge una vecchia diatriba tra La Valletta e Roma sulle competenze in materia di accoglienza. Una diatriba che, al di là delle ragioni dell’una e dell’altra parte, nasconde sullo sfondo un intreccio fitto di scambi commerciali, giacimenti petroliferi, giri vorticosi di denaro e malavita. E volendo restare in tema di flussi migratori nel Mediterraneo, ci sono anche i molto opachi rapporti tra l’Isola e la complessa situazione politica in Libia, snodo nevralgico dei migranti verso l’Italia.

Gli scambi commerciali

Per iniziare, si può partire da un dato di fondo: Malta è una fonte di business per l’Italia. E viceversa. Il nostro paese, infatti, è il principale partner commerciale dell’Isola. Secondo le stime della Farnesina, Malta acquista prodotti italiani per un valore di 1,6 miliardi di euro all’anno. Il valore dell’import maltese in Italia, invece, si ferma a 455 milioni. In sostanza, con l’Isola abbiamo un “profitto” commerciale superiore a 1 miliardo. Per intenderci, con la Russia tra import ed export “perdiamo” 5 miliardi circa l’anno dato che acquistiamo da Mosca più di quanto vendiamo.

Il petrolio

Non è un caso che sia stata proprio l’Italia a sostenere il processo di adesione di Malta alla Cee e da qui all’Unione europea. E non è un caso che il nostro paese, in seguito a una serie di accordi bilaterali, abbia fornito copertura militare e geopolitica al piccolo Stato. Come accadde quando La Valletta si affidò all’Eni per contrastare le pretese della Libia di Gheddafi sui suoi giacimenti petroliferi (una vicenda ancora oggi oscura che, secondo alcune ricostruzioni, sarebbe legata persino alla strage di Ustica). 

Già, la questione energetica. Per quanto vicini, Roma e La Valletta non hanno mancato di litigare quando si è trattato di giacimenti petroliferi nel Mediterraneo: il problema è sempre lo stesso, ossia la mancanza di un accordo sul confine marino tra i due Stati. Nel 2012, l’allora ministro del governo Monti per lo Sviluppo economico, Corrado Passera, estese unilateralmente la giurisdizione italiana sulla piattaforma continentale in un tratto di mare a sud-est della Sicilia (“Zona marina C – Settore sud”), arrivando a sovrapporsi alle acque rivendicate da Malta, inclusi i banchi di Medina dove da decenni si sospetta possano esserci importanti giacimenti.

I migranti

Le tensioni si alleviarono negli anni del governo Renzi, tanto che Il Giornale denunciò che i due paesi avevano stretto un accordo di scambio migranti-petrolio: all’Italia i migranti di Malta in cambio dello sfruttamento dei giacimenti. Una denuncia mai confermata e che, guardando all’entità della posta in gioco, appare quanto meno improbabile. Più probabile, semmai, che il nostro paese, anche visti gli interessi economici con l’Isola dei Cavalieri, abbia chiuso un occhio sulle responsabilità de La Valletta in termini di accoglienza per mantenere buoni rapporti su fronti ben più interessanti dal punto di vista economico. Del resto, a dirla tutta, la percentuale di rifugiati a Malta è ben più alta di quella italiana: il 18,3 per cento contro il nostro 2,4 (dati Unhcr). Insomma, la leva della solidarietà forse sarebbe meglio usarla altrove in Europa.

La Libia

Semmai, con La Valletta sarebbe utile capire che ruolo questo piccolo Stato svolge nei rapporti con la Libia. Un articolo di Rolla Scolari sulla Stampa di qualche tempo fa ricorda i rapporti dell’Isola con Tripoli: “da quando il 21 febbraio 2011, pochi giorni dopo l’inizio della rivoluzione (contro Gheddafi, ndr), due caccia libici hanno rifiutato un ordine diretto di sparare sui manifestanti a Bengasi, rifugiandosi a La Valletta, Malta è diventata per la divisa Libia un ponte verso l’Europa: prima via di fuga di centinaia di lavoratori stranieri evacuati durante i combattimenti, poi scalo e luogo di incontro”.  Un rapporto proseguito anche di recente:

“Oggi, l’isola è un crocevia – scrive sempre La Stampa - politici, funzionari, diplomatici dei diversi schieramenti libici, Est o Ovest, fanno tappa nel Paese, in cui si trovano uffici della Banca centrale libica, della Compagnia petrolifera nazionale, della Lia, il fondo di investimento. A dicembre 2015 e poi a novembre 2016 nella capitale si sono incontrati le parti libiche e membri della comunità internazionale per tentare un negoziato di cui il governo maltese prova a farsi mediatore”.

Il crimine organizzato

E l’Italia? E’ chiaro che i rapporti tra Malta e Libia possono avere risvolti di interesse per il nostro paese, e non solo perché il paese africano è storicamente la rampa di lancio dei migranti verso le nostre coste. Di sicuro, la magistratura ha scoperto un anno fa una presunta triangolazione criminale tra La Valletta, Tripoli e l’Italia: un’associazione a delinquere, con connessioni con la mafia siciliana, esportava illegalmente petrolio libico di bassa qualità verso Malta e da qui raggiungeva il nostro paese, per essere venduto dalle pompe di benzina come carburante di alta qualità. 

Restando in tema di criminalità sulla rotta Malta-Italia, è del gennaio scorso l’indagine della Guardia di Finanza che ha fatto luce su un presunto giro di scommesse illegali tra i due paesi che avrebbe consentito di riciclare oltre 1 milione di euro in soli 8 mesi. Un giro vorticoso di denaro, che non è isolato.

Il paradiso fiscale

L’inchiesta del team internazionale di giornalisti investigativi dei Panama papers e poi dei Paradise papers (lo stesso team di cui faceva parte Daphne Caruana Galizia, la reporter maltese fatta saltare in aria mentre indagava sul malaffare in patria), ha rivelato l’enorme numero di società basate nell’Isola dei Cavalieri ma controllate da imprenditori italiani. Il nostro, scrive l’Espresso, è il “paese straniero più rappresentato, con 8mila società maltesi controllate da azionisti italiani e 15mila nostri connazionali che compaiono in qualità di soci, amministratori o rappresentanti legali”. Alcuni avrebbero spostato a Malta attività reali, altri avviato negozi e piccole attività. Nell’elenco tuttavia farebbero bella figura anche “investitori che usano l'isola per un redditizio gioco di sponda fiscale”, senza nemmeno avervi, magari, mai messo piede.

Le condizioni con cui vengono accolti gli investitori stranieri sono irresistibili. “A determinate condizioni non troppo difficili da soddisfare - spiegano gli autori dell'inchiesta dell’Espresso - l’aliquota sui profitti d’impresa, ufficialmente al 35 per cento, può scendere fino al 5 per cento. E sono praticamente esentasse anche altre voci del conto economico, come gli interessi incassati sui prestiti o le royalty maturate grazie a brevetti o marchi”. Basta trasferire reddito dalla società italiana a quella maltese per “risparmiare” moltissimo sulla tassazione. 

La decisione del governo Berlusconi (con Lega)

Questo flusso di denaro forse non è illegale. Ma di sicuro, è una elusione fiscale che fa male alle casse dell’Italia. Malta, di fatto, è un “paradiso fiscale” per chi voglia pagare meno tasse restando dentro i confini sicuri dell’Ue. Non a caso, fino al 2010, La Valletta era inserita nella lista nera dei paradisi fiscali del nostro governo, cosa che limitava fortemente gli spostamenti di denaro verso l’Isola. A togliere Malta dalla lista fu l’allora governo Berlusconi, che poteva contare sull’appoggio della Lega di Matteo Salvini e che così favorì la fuga di capitali verso La Valletta.

Chissà se il nostro ministro dell’Interno, oltre alla questione migranti, vorrà regolare anche le tematiche fiscali con Malta. Ne gioverebbero di sicuro l’equità e la casse pubbliche del nostro paese. E forse anche quella lotta per la legalità tanto sbandierata al Parlamento nel giorno della fiducia del nuovo governo M5s-Lega.  
 

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