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Sabato, 27 Aprile 2024
L'appello / Cina

I pannelli solari cinesi costano sempre meno, ma non è una buona notizia

L'industria europea lancia l'allarme: l'invasione dalla Cina sta facendo fallire le imprese del continente. Consolidando la dipendenza da Pechino

L'inflazione in Europa continua a essere alta, ma l'aumento dei prezzi si ferma davanti ai pannelli solari, per la precisione quelli provenienti dalla Cina: negli ultimi mesi, il loro costo è sceso del 25%. Uno sconto record che sta mandando in crisi i concorrenti europei, alcuni sull'orlo della bancarotta, e che rischia di mandare all'aria il sogno di una maggiore indipendenza del continente da Pechino nella corsa alla transizione ecologica. È quanto denuncia SolarPower Europa, la lobby Ue del settore, in una lettera inviata alla Commissione europea. 

Prezzi stracciati

"I prezzi dei moduli (cinesi) - scrive SolarPower Europa - hanno raggiunto il minimo storico di meno di 0,15 euro per watt per i prodotti a basso costo, più bassi persino dei livelli pre-Covid". Questo, prosegue la lobby, sta "rendendo estremamente difficile per le aziende manifatturiere europee vendere i propri prodotti". La Norwegian Crystals, uno dei più longevi produttori di lingotti utilizzati nelle celle solari, ha dichiarato bancarotta il mese scorso. Un'altra azienda solare norvegese ha dichiarato in queste settimane che sospenderà la produzione fino alla fine dell'anno.

Un pannello solare prodotto in Europa costa più del doppio rispetto al prezzo spot di mercato. E la Cina sta offrendo contratti biennali ai clienti Ue offrendo pannelli a prezzi costantemente più bassi di quello spot. Lo sta facendo per sfruttare la mole enorme di investimenti lanciati da Ue e vicini in seguito alla guerra in Ucraina: se nel 2016, la spesa per nuovi impianti solari nel continente era di 6 miliardi di euro, nel 2022 è stata di 25 miliardi. Una massa di denaro destinata a crescere, visto l'obiettivo di Bruxelles di fare del blocco il principale produttore di energia solare nel mondo. 

Magazzini stracolmi

Il risultato di questi investimenti, secondo un'altra lettera aperta sottoscritta da più di 40 aziende solari europee, tra cui la società svizzera Meyer Burger e il produttore tedesco di fotovoltaico Heckert Solar, è che adesso nei magazzini europei c'è un eccesso di pannelli solari cinesi, sufficienti a coprire il doppio della domanda annua complessiva dell'Europa. Pechino, in sostanza, sta agendo per consolidare la sua posizione di dominio sul mercato dei pannelli solari. E mantenere più a lungo possibile la dipendenza dell'Ue dai suoi prodotti (che, già oggi, rappresentano più del 75% del totale dei pannelli importati). 

La decisione della Cina che mette a rischio pannelli solari e chip

Come reagire a questa invasione? Le imprese europee non parlano apertamente di dazi. L'Ue aveva usato questa strada già nel 2012, ma sei anni dopo ha revocato le tariffe. Per SolarPower Europe, le strade che Bruxelles dovrebbe intraprendere sono soprattutto due. La prima è che la Commissione europea effettui un'acquisizione di emergenza delle scorte di pannelli dei produttori Ue di energia solare: in questo modo, si eliminerebbe una fonte di deprezzamento dei moduli.

Pannelli frutto del lavoro forzato

La seconda strada è quella di introdurre un divieto di importazione dei prodotti frutto del lavoro forzato. Una proposta del genere è stata presentata nel 2022 dalla Commissione europea, ma il suo iter non procede a passo spedito. "Circa due quinti della produzione globale di polisilicio, la principale materia prima per i pannelli solari, proviene dalla regione occidentale dello Xinjiang, dove il governo cinese è stato accusato da gruppi per i diritti umani di costringere le minoranze musulmane (gli Uiguri, ndr) a lavorare nelle fabbriche dei campi di rieducazione", spiega il Financial times. In altre parole, l'accusa dell'industria Ue è che i pannelli solari cinesi sono in qualche modo frutto dello sfruttamento degli Uiguri, e per questo vanno fermati. 

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