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Sabato, 27 Aprile 2024
Stop all'export / Russia

Il "commercio fantasma" di armi europee che rafforza Putin (e non solo)

Bruxelles annuncia un nuovo giro di vite su beni e tecnologie a duplice uso venduti a Paesi terzi, e che poi finiscono nella mani dei regimi sanzionati dall'Ue. Stretta anche sugli investimenti stranieri (in particolare della Cina)

A metà gennaio, il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba ha lanciato l'allarme: "Il 95% dei componenti critici di produzione straniera trovati nelle armi russe distrutte in Ucraina provengono da Paesi occidentali". Una denuncia che, a dirla tutta, non ha sopreso più di tanto: da mesi sono emerse prove che i cosiddetti beni "dual use" (a duplice uso) prodotti dalle aziende europee riescono ad arrivare a Mosca aggirando le sanzioni alla Russia. Si tratta di tecnologie che possono essere usate tanto a scopi civili, quanto a fini militari. E per questo più facili da esportare senza troppe restrizioni. Una scappatoia che adesso la Commissione europea vuole fermare.

Le contromisure fanno parte di un pacchetto volto ad aumentare la sicurezza economica dell'Ue, non solo per quel che riguarda l'export di beni "dual use", ma anche per far fronte ai rischi connessi agli investimenti che dall'estero arrivano in Europa, in particolare dalla Cina. 

Il "commercio fantasma" verso la Russia

Il nodo centrale che la Commissione europea ha voluto sciogliere è quello degli insufficienti controlli sulle esportazioni di beni a duplice uso dal blocco verso Paesi terzi: tecnologie, attrezzature e apparecchiature che possono servire sia a scopi civili che militari (ad esempio la componentistica di elettronica avanzata). 

Secondo un’inchiesta del quotidiano britannico Financial Times, nel solo 2022 sono "scomparsi" oltre un miliardo di dollari nell’export di questo tipo di merci dall’Ue (soprattutto dalle repubbliche baltiche) verso Kazakistan, Kirghizistan e Armenia, partner chiave di Mosca nella regione. Componenti di ricambio per gli aerei, apparecchiature ottiche, saldatori, sistemi di radiodiffusione e turbine a gas tra i prodotti al centro del boom senza precedenti degli scambi tra l’Unione e questi Stati dell’Asia centrale.

Con ogni probabilità, l'entità reale di "importazioni fantasma" verso la Russia è molto maggiore di quello scoperchiato dal Ft, e potrebbe aggirarsi intorno ai tre miliardi di dollari. Un flusso di cassa che ha sicuramente aiutato la guerra del Cremlino in Ucraina.

Contrastare le triangolazioni

Questi beni, ha suggerito il quotidiano, sono verosimilmente arrivati in Russia tramite delle triangolazioni commerciali (o "riesportazioni"), che costituiscono il metodo più classico per aggirare le sanzioni primarie dato che la vendita diretta dagli Stati europei alla Federazione è vietata, ma non lo è quella a Paesi terzi che a loro volta commerciano con Mosca. Per questo servono le sanzioni secondarie, che Washington ha iniziato a varare lo scorso dicembre e che sembra stiano già avendo ripercussioni sull’economia russa. 

Nel tentativo di affrontare il problema, l’Ue cerca ora un approccio condiviso tra tutti gli Stati membri, fissando regole comuni soprattutto per quanto riguarda quei beni sulla cui esportazione non esistono standard di controllo internazionali. La normativa europea in materia è stata aggiornata l’ultima volta nel 2021, e la Commissione intende lanciare ora una consultazione con i portatori d'interesse per definire in maggiore dettaglio i prossimi passi da compiere.

Investimenti esteri

Quanto agli investimenti esteri diretti, l'esecutivo comunitario ha proposto un rafforzamento dello screening per ridurre i rischi di sicurezza per l’Unione, a partire dall’armonizzazione delle norme nazionali che, come al solito, divergono tra i Ventisette. 

L’Italia ha dal canto suo già intrapreso questa strada lo scorso dicembre, quando la premier Giorgia Meloni ha deciso di chiamarsi fuori dalla Nuova via della seta cinese, il ciclopico progetto infrastrutturale attraverso cui Pechino sta espandendo la propria influenza economica a livello internazionale, e al quale aveva aderito nel 2019 il primo esecutivo guidato da Giuseppe Conte, del quale faceva parte anche la Lega di Matteo Salvini, azionista dell’attuale maggioranza.

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