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Redazione

Mezzo milione di posti di lavoro persi, il conto della Brexit

Un referendum, due accordi naufragati, tre primi ministri sulla graticola. Tanto è costata la Brexit alla politica britannica. Un prezzo piuttosto caro, ma non caro quanto quello pagato dall'economia britannica con oltre 420 mila posti di lavoro persi dal 23 giugno 2016. A dominare su tutto, l'incertezza per una transizione che ancora oggi si presenta come giano bifronte: o nuovo rinvio o Brexit a tutti i costi. 

A risentire di questa contrazione, secondo i dati elaborati dall'indice Small Business Price, sono tutte le regioni inglesi, con una sorpresa amara, per Londra. La Capitale, Greater London, che aveva votato a forte maggioranza per rimanere nella Ue, è infatti la seconda tra le città britanniche ad essere colpita da Brexit. Peggio di Londra (20 mila 930 posti di lavoro persi) solo Glasgow (66.6% pro Ue) che vede sfumare 24 mila unità.   

Non c'è settore che non ne stia risentendo. Tra i top tre, ovvero tra chi sta facendo peggio, ci sono auto, trasporti e alimentari. Per l'automotive la crisi si fa sentire con 53 mila e 618 posti lavoratori a casa. 

A confermare la crisi nera è la Society of Motor Manufacturers & Traders (SMMT) secondo il cui osservatorio gli investimenti nel settore auto si sono completamente stoppati. Il caso Ford è il più emblematico. A subire il colpo più duro è stata la comunità di Bridgend, la cui fabbrica di motori, dopo quaranta di attività ha visto compromessa la sua tenuta. A partire dal settembre 2020, infatti, la struttura situata in Galles, in un'area al 54.6% pro-Brexit, chiuderà i battenti mandando a casa i mille e settecento operai. 

Ma c'è anche Honda, tra i big, a soffrire per Brexit. La multinazionale giapponese, secondo i dati di Brexit Job Losses, perde 1150 lavoratori. Un numero che salirà a quota 3 mila e 500 se si considera la chiusura dell`altra grande realtà industriale, Swindon (nel Wiltshire 52.5% a favore della Brexit), che a partire dal 2020 interromperà la produzione. 

Ma non c`è pace neanche per BMW pronta a trasferire la produzione della Mini fuori dalla Gran Bretagna nel caso di uscita dalla Ue senza accordo. Un trasferimento che costerà ben 8 mila e seicento posti di lavoro tra le professionalità allocate tra le 4 fabbriche inglesi. 

In effetti una prospettiva di walkout, uscita senza accordo, spaventa il settore tutto. SMMT ha lanciato segnali inequivocabili: “Una Brexit senza accordo avrà un immediato e devastante impatto sull`industria, indebolendo la competitività e causando irreversibili e pesanti danni” ha affermato il capo della Society of Motor Manufacturers & Traders. 

Timori che non sono dissipati neanche dal Benn Act, che impegna il governo a chiudere una dilazione della Brexit in caso di mancato accordo. Infatti al netto di un nuovo spostamento della deadline cosa succederà? Solo nuova incertezza e caos. Ossigeno che alimenta instabilità e fa saltare investimenti, con buona pace delle comunità locali che perdono preziosi posti di lavoro.   

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