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Redazione

"Con la Brexit siamo a corto di cuochi. E anche il cibo made in Italy è a rischio"

“Sono due anni che siamo in piena Brexit anche se a Westminster ancora non se ne sono accorti". È il commento tagliente di Maurizio Amodio, assistant manager al Novikov London, ristorante che sorge nel cuore del lusso londinese, nella zona di Mayfair. Lamborghini e Ferrari sfrecciano tra borse Gucci e Dior nel cuore di un quartiere ad alta densità di italiani. Non di residenti, ben intesi, quanto piuttosto lavoratori e professionisti dell`hospitality. “In otto anni di Novikov ho visto passare di qui più di 5 mila italiani. Ho visto 'scenziate', biologi, astronauti, che arrivano a Londra per mettersi in gioco”. 

Un esercito di umanità varia e disparata in cerca di opportunità. Quelle che non trova in Italia. Laureati, sommelier, cuochi, o semplicemente giovani alla prima esperienza, si ritrovano al Novikov, come in tutti i ristoranti londinesi, per formare una comunità nella comunità. 

Ma il 23 giugno del 2016, data del referendum per l`uscita dalla Ue del Regno Unito, qualcosa si è rotto. “La Brexit ha creato una grave incertezza nelle persone. Prima ricevevamo 20 curriculum al giorno, oggi ne arrivano 20, ma in una settimana”. 

È sparita una intera generazione 

“In più, da tre anni a questa parte abbiamo notato che cambia l`anagrafica e la geografia di chi parte. È sparita una intera generazione. Al Novikov, infatti, arrivano under 25 e over 35. La fascia intermedia non parte più, o meglio non ricerca più lavoro nella hospitality”.  

A questo deve aggiungersi che sono in fuga anche i professionisti del settore. “Dove sono gli stagionali estivi e invernali? E le professionalità della hospitality? Mancano maître, camerieri, i cuochi d'esperienza. Abbondano, invece, i laureati che arrivano nella ristorazione per pagarsi studi o come primo lavoro a Londra. Ma su questi non possiamo costruire carriere. Sono solo di passaggio prima di imboccare nuove strade”.

A cercare fortuna a Londra nell'hospitality sono prevalentemente meridionali. “Da Roma in giù”, precisa Amodio che invita a riflettere sulla condizione lavorativa del nostro Paese che rinuncia troppo facilmente alle sue energie più fresche. 

Ma fa rabbia, perchè all`estero il Bel Paese è apprezzato. Le sue tradizioni, valori, cucina e prodotti, vanno forti. E qui arriviamo ad un altro punto dolente per l`hospitality.  

A rischio l`originalità dei prodotti 

“Abbiamo sempre voluto offrire una cifra unica: prodotti italiani di nicchia”. Ma questo, oggi, è messo in discussione. “La qualità del prodotto è difficile da trovare. Con l'incertezza Brexit il rapporto tra produttori e fornitori si è compromesso. Con il quadro attuale, infatti, i fornitori trovano più facile rivolgersi ad altri mercati per reperire il prodotto che poi ci propongono”, continua Amodio. 

Le conseguenze? Sono tutte per il cliente russo, arabo e inglese. “Sul menù non avremo più pomodorino ciliegio di Pachino, ma cherry tomato, che è tutta un'altra cosa”. Per non parlare della mozzarella, che vede un proliferare di produzione made in Uk. Questo finisce, inevitabilmente, per impattare globalmente e localmente. Incide su tutta la filiera che dal produttore locale italiano si perfeziona nei piatti elaborati serviti da Leeds a Londra, incide sulla qualità. 

Esito? Conto salato per tutti. È questo il prezzo della Brexit, nolente o volente. E il piatto è servito.

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