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Venerdì, 29 Marzo 2024
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“Lavoro, Green Deal e Unione sanitaria”, la rotta Ue per uscire dalla crisi del Covid-19

Intervista a Luca Jahier, presidente del Comitato economico e sociale europeo: “Con le crisi l'Europa si rafforza, abbandonarla sarebbe un suicidio per l’Italia”

Dieci anni dopo la crisi finanziaria, l’Unione europea si trova ad affrontare la spirale di conseguenze economiche del coronavirus. Parole come disoccupazione, recessione e spread si riprendono drammaticamente la scena in un contesto già descritto da tanti osservatori come il più cupo dalla nascita dell’Unione. Europa Today ha raggiunto Luca Jahier, presidente del Comitato economico e sociale europeo, per discutere le attuali difficoltà del mondo del lavoro e fare il punto delle proposte sui tavoli Ue per invertire la rotta. 

Presidente Jahier, la Festa dei lavoratori quest’anno è arrivata nel bel mezzo di una crisi sanitaria che ha portato ad una paralisi economica senza precedenti. Il mercato del lavoro europeo come sta reagendo? Ci può fornire qualche dato sulle conseguenze economico-sociali della pandemia di Covid-19?

Effettivamente la crisi che stiamo attraversando è senza precedenti, la peggiore che l'Europa abbia attraversato sicuramente dalla fine della seconda guerra mondiale. Eurostat ci dice che il Pil dell'Ue è calato, globalmente del 3,5% rispetto al trimestre precedente; non in maniera omogenea, la Francia è calata del 5,8%, la Spagna  del 5,2%, l'Italia del 4,7%. Si tratta della riduzione più forte mai registrata dall'Eurostat da quando fornisce tali dati. Non credo vi sia da aggiungere altro. 

Del resto, le stime previsionali del Fondo Monetario Internazionale vanno nello stesso senso, ma fanno anche notare che le economie europee, nel 2021, si riprenderanno. La Germania, che ancora nel 2019 ha conosciuto un lieve aumento del suo Pil, dovrebbe subire, nel 2020 un calo del Pil di -7% ma si riprenderebbe (+5,2%) nel 2021, la Francia farebbe meno bene (crescita del Pil nel 2019 di +1,3%), ma calo nel 2020 a -7,2% e poi ripresa nel 2021 a +4,5%) mente l'Italia, dopo un lievissimo aumento del Pil nel 2019 (+0,3%) subirebbe un pesante -9,1% nel 2020 ed una ripresa nel 2021 (+4,8%). 

Per quel che riguarda il mercato del lavoro è probabile che lo shock della domanda di lavoro si traduca in significativi adeguamenti al ribasso dei salari e dell'orario di lavoro, cosa che è avvenuta nelle crisi precedenti. Inoltre, l'esperienza mostra che epidemie e crisi economiche possono avere un impatto sproporzionato su segmenti vulnerabili della popolazione, il che può innescare un peggioramento della disuguaglianza, sia sociale che tra regioni d’Europa.

Ciò vale in particolare per i giovani (che già affrontano tassi più elevati di disoccupazione e sottoccupazione), le donne (per lo più rappresentate nei settori più colpiti come i servizi), i lavoratori migranti (generalmente meno protetti dai meccanismi convenzionali di protezione sociale e altre forme di livellamento del reddito) e lavoratori atipici (che non hanno accesso a meccanismi di congedo retribuito o per malattia). Le donne hanno anche un accesso minore alla protezione sociale e sopporteranno un onere sproporzionato nell'economia della cura, in caso di chiusura di scuole o sistemi di assistenza. Si stima che il 71% dei lavoratori che sono tornati a lavorare il 4 maggio in Italia sono uomini e di classe di età medio alta. Quindi la situazione è drammatica.  

La pandemia, assieme alle sue conseguenze economiche negative, è ormai arrivata anche negli Stati Uniti. Si calcola che nelle ultime sei settimane il numero di lavoratori americani che hanno chiesto sussidi di disoccupazione abbia superato i 30 milioni. Il sistema europeo di protezione sociale può ancora considerarsi più avanzato rispetto a quello americano? Su quali reti di assistenza possono fare affidamento i lavoratori Ue?

Credo che l’attuale pandemia dimostri, ancora una volta, che l'Europa possiede un sistema del welfare consistente. Certo è lungi dall'essere perfetto, ma ha già fatto le sue prove a fronte della crisi del 2008 importata dai sub-prime americani. Da noi, in Europa, fu proprio il sistema di protezione sociale europeo che impedì tassi di disoccupazione ancora peggiori. Mi sembra che purtroppo la rapidità con la quale il tasso di disoccupazione americano stia salendo dimostri l'inadeguatezza del sistema di protezione americano. 

Nelle ultime settimane, l’Ue ha preso provvedimenti per proteggere i lavoratori maggiormente a rischio in questo momento difficile. Saranno attivati 100 miliardi dei fondi Sure (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency ovvero un sostegno alle casse integrazioni dei diversi paesi) e presto la Commissione presenterà il suo piano generale di ripresa che ci aiuterà a riavviare le nostre economie. 

Ma questa crisi evidenzia anche la pertinenza nel lungo periodo delle prossime iniziative Ue già annunciate nei settori dell’occupazione e sociale. Dobbiamo concentrarci sulla lotta alla disoccupazione, garantire la salute e la sicurezza sul lavoro, proteggere i più vulnerabili e investire nelle competenze delle persone per un futuro più verde e digitale. Ecco anche perché il Cese propone di ripartire anche da un'unione della sanità.

Nei principali tavoli della politica Ue ci si interroga su come far ripartire l’economia quando terminerà il confinamento. Qual è la sua ricetta?

Se c’è una drammatica lezione che abbiamo imparato a poche settimane dall’espansione di questa pandemia, è il fatto che eravamo tutti impreparati a dei livelli impensabili. Bisogna ripartire quindi dal problema vero, cioè i ritardi degli investimenti nel settore della sanità, quando non i giganteschi tagli fatti in molti Paesi in questi ultimi anni di crisi e recessione, che fanno sì, per esempio, che in Italia ci siano 8,5 posti in terapia intensiva per 100mila abitanti, contro i 29,2 della Germania. Ed anche qui le autorità ritengono che a fronte di una forte ripartenza dei contagi il sistema andrebbe in tilt in poche settimane.

Tutto questo non era accettabile prima, ora dopo il Covid-19 dovrà esserlo ancora meno. Può diventare persino distruttivo per la stessa tenuta del Mercato interno dell’Unione, che si basa appunto sulla libera circolazione delle persone oltreché delle merci e per una logica dell’economia globale che, seppur corretta da più consistenti forme di economie circolare, sempre vivrà di una grande apertura dei mercati e degli spostamenti. Per questo una Europa della salute deve diventare la prima priorità della ricostruzione.

E poi temo che alcune delle intuizioni strategiche più feconde concordate negli ultimi anni, e che sono diventate il pilastro strutturante della strategia europea disegnata dalla attuale legislatura, possano essere dimenticate o subordinate al ripristino dello status quo ex ante, per recuperare in fretta le imprese e i posti di lavoro cancellati o compromessi da questa crisi. Sarebbe un errore tragico e di corto respiro. Io credo anzi che quella strategia, che è stato chiamata Green Deal, sia ora ancora più essenziale per il futuro e non solo per la correlazione già dimostrata tra zone di maggiore espansione del virus e aree più inquinate, ma anche perché il cambiamento climatico può avere impatti sui sistemi economici e sulla vita delle persone esponenzialmente maggiori di questa pandemia. Sono sicuro che dopo una breve fase, laddove necessaria, di forme di helicopter money, si possa passare ad una logica di investimento per creare ricchezza e coesione nel medio lungo termine, ed è necessario fissare una strategia basata su cinque punti chiave: Salute, lavoro, imprese, digitale e sostenibilità.

Le istituzioni europee in queste settimane sono finite ripetutamente sotto attacco con l’accusa di “non aver fatto abbastanza” per aiutare l’Italia. Teme che l’Ue ne esca indebolita politicamente - oltre che economicamente - dalla crisi del coronavirus?

Mi sembra che gli attacchi di cui l'Europa è stata oggetto siano del tutto fuori luogo. Basta del resto dare un'occhiata ai fatti, anziché fare sfoggio di interpretazioni basate sulle fake news. In meno di un mese l'Ue ha congelato il Patto di stabilità e crescita (il tanto vituperato dogma dell'austerità, almeno per taluni), ha congelato la ferrea disciplina degli aiuti di Stato (che a taluni pareva troppo restrittiva che hanno consentito di autorizzare interventi diretti degli Stati membri per oltre 2400 miliardi di Euro) ed ha messo in campo significativi strumenti finanziari 

Il Consiglio europeo del 23 marzo ha avallato una serie di misure estremamente concrete: 200 miliardi di euro di prestiti in provenienza dalla Banca Europea degli Investimenti (Bei), oltre 1.150 miliardi di euro di interventi diretti della Banca Centrale Europea sul mercato dei Titoli di debito degli Stati membri e delle grandi imprese e perlomeno 36 miliardi provenienti dalla Commissione europea (che li ha recuperati dai fondi strutturali non ancora spesi). A questo si aggiunge il programma Sure, inquadrato da un regolamento, che è una novità del tutto concreta ed originale e che consentirà di versare 100 miliardi di euro per gli Stati membri che ne faranno richiesta per i disoccupati di breve periodo.

Ma non finisce qui, vi è poi anche il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) che metterà a disposizione dei paesi della zona euro 240 miliardi, di cui l'Italia potrebbe averne 36 miliardi, a patto che lo chieda. Come spiegato dal commissario Gentiloni, figura di punta dell'attuale Commissione europea, i prossimi Eurogruppi e Consigli europei definiranno ancora meglio l'operatività di tale Mes, con il proposito assolutamente certo di svincolarlo da ogni condizionalità se non quella di essere utilizzato per azioni relative alla spesa sanitaria, diretta ed indiretta e prevenzione della pandemia. Vi sono poi altri due strumenti assolutamente fondamentali: il Consiglio europeo ha formalmente incaricato la Commissione europea di adottare una nuova proposta rafforzata delle prospettive finanziarie pluriennali (il bilancio europeo 2021-2027) e, soprattutto, una proposta per un Recovery Fund (Fondo di rilancio), che dovrà essere aperto a tutti, adeguato alla portata della crisi in corso e capace di ricostruire progresso e coesione in Europa.

Tra prospettive finanziarie pluriennali e Fondo di rilancio si pensa che la Commissione metterà in campo almeno 2.000 miliardi di euro per i prossimi 7 anni e parte cospicua di queste somme riguarderà la lotta al COVID e si focalizzerà su priorità comuni per disegnare una strategia di uscita da questa crisi verso l'alto, puntando, per esempio ad un'agenda sostenibile, ad un'agenda digitale, ad una maggiore coesione economica e sociale.  Mi preme sottolineare che già da adesso si ha un'idea precisa di quanto l'Italia potrebbe ottenere dall'Europa, al netto del prossimo bilancio pluriennale dell'Ue e del Recovery Fund. Alla luce di questi interventi non vedo come si possa dire che l'Europa non abbia reagito e che non stia aiutando l'Italia.  

Infine, come disse già a suo tempo Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell'Europa, primo Presidente dell'Alta Autorità della Ceca, è con le crisi che l'Europa si rafforza. Io constato che in un mese le istituzioni europee hanno capito che questa è una crisi da cui se ne esce tutti insieme o, semplicemente, si sprofonda nel baratro, uno dopo l’altro. Più che mai l'Italia deve rimanere ancorata all'Europa: non farlo sarebbe un suicidio, non solo per ragioni economiche e sociali ma anche perché è fondamentale appartenere ad una Unione che crede allo stato di diritto, alla democrazia ed ai valori fondamentali. Per me è chiaro che l'Ue nel 2021 si rilancerà, lo dicono anche le stime previsionali del Fmi: sarà un'Europa più forte economicamente ma anche politicamente, con un bilancio più forte e che sarà ancora più imperniato sulle risorse proprie, capace di fare alcune significative riconversioni strategiche, delle se politiche industriali, commerciali e anche di relazione con l’Africa. L'Europa rimarrà ancora per anni un progetto generativo, esaltato dallo straordinario patrimonio economico, sociale e culturale dei suoi Stati membri che stanno dimostrando una grandissima resilienza in questa crisi.

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