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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Libia, ecco perché Russia e Turchia potrebbero spartirsi il Paese. Facendo fuori l'Italia

Putin ed Erdogan pronti a firmare una tregua per dividersi Tripolitania e Cirenaica. L'ex ministro Minniti: "Rischiamo adesso di perdere definitivamente" lo Stato nordafricano "e questa sarebbe una vera tragedia". Il premier libico al-Serraj a Bruxelles

Dopo settimane di contatti a vuoto e rinvii, il premier libico Fayez al-Sarraj ha finalmente acconsentito a un meeting ufficiale con l'Unione europea e dovrebbe incontrare l'Alto rappresentante Josep Borrell a Bruxelles. Ma l'iniziativa diplomatica dell'Ue rischia di venire vanificata da quanto potrebbe accadere a Istanbul, dove i presidenti di Turchia e Russia, Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin, sono pronti a sottoscrivere una tregua. Con l'obiettivo di spartirsi proprio la Libia: la regione di Tripoli ai turchi, la Cirenaica ai russi. 

L'Italia fuori dai giochi?

Già, perché dopo essersi accusati a vicenda di interferenze sulle questioni libiche, Ankara e Mosca sembrano adesso voler sfruttare l'attendismo dell'Europa (e le divisioni interne, in particolare tra Italia e Francia), oltre che il disinteresse degli Usa, troppo impegnati sul fronte iracheno, per dividere il Paese in due aree di influenza. Mettendo defintivamente fuori dai giochi l'Italia. "Per noi sarebbe uno scacco drammatico", dice alla Stampa l'ex ministro Marco Minniti: "Nei mesi scorsi l'Italia ha perso l'iniziativa politica in Libia e temo che non sia possibile ricostruire il ruolo che avevamo nel passato. Adesso bisogna cambiare passo, il tema da porre non è più il ruolo dell'Italia ma quello dell'Europa nel suo insieme", afferma Minniti, secondo cui la responsabilità principale della perdita di terreno "è di chi ha utilizzato il tema dell' mmigrazione come punto di consenso interno e come leva per una rottura all'interno dell'Ue". "Il rischio adesso è di perdere definitivamente la Libia e questa sarebbe una vera tragedia". Perché Roma perderebbe i suoi 'privilegi' su petrolio e gas libico. Oltre a ritrovarsi in prima linea in una nuova "drammatica emergenza migratoria", dato che diverse stime parlano di circa 350mila sfollati pronti a lasciare il Paese nordafricano proprio in direzione dell'Italia.

La mossa turca

Per evitare uno scenario del genere occorre recuperare il tempo perduto finora. Da mesi, si sapeva che la Turchia aveva intenzione di aumentare la sua influenza in Libia, giocando sul fatto che il governo di Tripoli, l'unica istituzione formalmente riconosciuta dall'Onu, aveva cominciato a diffidare della capacità dei suoi alleati, tra cui proprio l'Italia, di fermare l'avanzata dell'esercito del generale Khalifa Haftar, leader della Cirenaica e sostenuto da Russia, Francia ed Egitto. L'accordo tra Erdogan e al-Serraj è servito al primo per ottenere una sorta di via libera ad agire in una zona del Mediterraneo, quella confinante con le acque territoriali di Cipro, strategica per lo sfruttamento di importanti giacimenti di gas. In cambio, il premier libico ha ottenuto l'appoggio militare formale della Turchia, che sta inviando "gradualmente" le sue truppe a Tripoli per aiutare a fermare il nuovo assalto di Haftar (dopo la prima avanzata nella scorsa primavera).

La tregua tra Erdogan e Putin

Putin, che secondo le accuse dello stesso Erdogan avrebbe da tempo inviato milizie e armi a sostegno di Haftar, dopo aver criticato la mossa turca, sembra adesso voler scendere a compromessi con Ankara. L'occasione di una tregua è la cerimonia a Istanbul per l'inaugurazione del gasdotto strategico TurkStream, che porterà il gas di Mosca attraverso il mar Nero. In tutto questo, l'Onu sta a guardare: l'inviato in Libia delle Nazioni unite, Ghassan Salamé, aveva già lanciato l'allarme sull'impossibilità di governare le tensioni all'interno del Paese per via delle troppe influenze esterne. L'embargo Onu all'invio di armi e truppe non è mai stato rispettato a livello informale. E adesso, la Turchia lo ha stracciato in modo palese, con tanto di voto al Parlamento. 

Di Maio chiede aiuto all'Ue

I fragili equilibri, che finora hanno impedito il deflagrare del conflitto civile, sembrano saltati. Non è detto che si arriverà a una vera e propria guerra: piuttosto, potrebbe esserci un rimescolamento delle carte tra gli attori internazionali in campo. E l'Italia rischia di perdere dalla sua, come ha avvertito Minniti. Ecco perché il ministro degli Esteri Luigi Di Maio si è impegnato in un giro serrato tra Bruxelles e Nord Africa per salvare il salvabile. Facendo pressioni sull'Ue affinché parli con una sola voce. L'incontro di martedi' 7 gennaio con Borrell e i colleghi di Francia, Germania e Regno Unito non sembra aver portato grosse novità, se non la visita di al-Serraj a Bruxelles. Mancano notizie da Haftar, che finora pare intenzionato a parlare solo con Parigi, e non con l'Ue. In questo, colpisce il silenzio della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, rotto solo in questo ore da un telegrafico commento: "L'uso delle armi deve essere fermato ora per lasciare spazio al dialogo". Frase che è sembrata rivolta più all'Iraq, che alla Libia.

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