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Sabato, 27 Aprile 2024
Stragi nel Mediterraneo

Perché l'Europa non soccorre i migranti (spoiler: c'entra anche l'Italia)

Dopo Cutro, un'altra tragedia al largo della Grecia riaccende il dibattito sui buchi nelle attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo

Dopo Cutro, la nuova strage di migranti porta il nome di Pylos, cittadina costiera greca al largo della quale un peschereccio si è ribaltato, provocando decine di morti. Anche in questo caso il barcone di disperati non è stato soccorso (o è stato soccorso in ritardo, a seconda dei punti di vista). E così come avvenne per la tragedia al largo della Calabria, è già partito il rimpallo di responsabilità tra le autorità competenti e l'agenzia europea Frontex. Dalle prime ricostruzioni, pare che Frontex avesse segnalato per tempo la presenza del peschereccio (come del resto sarebbe successo nel caso di Cutro), ma la guardia costiera greca avrebbe ritardato l'intervento. Il sospetto è che Atene abbia sperato fino all'ultimo che i migranti raggiungessero le acque di competenza italiane, in modo da non farsi carico delle operazioni di salvataggio, e accoglienza. 

La nave naufragata in Grecia

Ora, puntare il dito sugli eventuali responsabili è troppo presto, ma così come accaduto in Calabria, tra le domande che sorgono ce n'è una in particolare: perché governi e forze politiche un po' in tutta Europa puntano il dito contro Bruxelles per le carenze nella lotta all'immigrazione clandestina, ma a oggi non esiste un sistema di ricerca e soccorso guidato dall'Ue? La risposta necessita di un salto indietro nel tempo, e porta dritto, come vedremo, all'Italia. 

Era il 3 ottobre 2013 quando un barcone di migranti al largo di Lampedusa si inabissò provocando 368 morti. La tragedia sconvolse la politica italiana, già alle prese con una difficile crisi economica, ed ebbe vasta eco in tutta l'Unione europea. "Spero che la divina provvidenza abbia voluto questa tragedia per far aprire gli occhi all'Europa", disse all'epoca l'allora ministro degli Interni, Angelino Alfano. L'Europa decise di aprirli, quegli occhi, e mise sul tavolo dei governi una serie di proposte: tra queste, la creazione di una cabina di regia europea, gestita a livello centrale, per individuare le rotte dei barconi di migranti che partono dal Nord Africa e che interessano lo specchio di mare che va da Cipro alla Spagna. Un'azione di ricerca e soccorso guidata da Frontex, insomma. 

La riforma bloccata di Frontex

La proposta, però, restò lettera morta. A bloccarla fu lo stesso Alfano, con il silenzio-assenso (pare un po' imbarazzato) della sua collega di governo, la ministra del Pd Cecile Kyenge. L'ex pupillo di Silvio Berlusconi, che aveva assistito da protagonista già alle polemiche sull'asse Roma-Bruxelles per i respingimenti in mare dei migranti operati dall'ultimo governo del Cavaliere sotto la spinta del ministro leghista Roberto Maroni, non fu l'unico leader europeo a opporsi alla proposta di Bruxelles. Con lui c'erano la Grecia, Malta, Francia e Spagna. Come mai? Sulle politiche di lotta all’immigrazione clandestina, evidentemente, gli Stati più esposti volevano avere le mani libere nel gestire i soccorsi e i rapporti con i Paesi di partenza.

Passano i mesi, e il governo Letta lancia l'operazione Mare Nostrum per aumentare i soccorsi nel Mediterraneo centrale. In contemporanea, cominciano a spuntare le navi delle ong. Ma tra le turbolenze in Libia e nel Nord Africa, e quelle in Siria, il peso sulle spalle dell'Italia diventa insostenibile, anche (se non soprattutto) da un punta di vista economico. Roma torna a battere i pugni a Bruxelles, e la Commissione risponde: nasce l'operazione Triton, che di fatto sostituisce Mare Nostrum. A coordinare due aerei di sorveglianza e tre navi c'è Frontex, ma il comando delle operazioni resta sempre in mano italiana. Triton si limita alla sola sorveglianza e eventuale ricerca, ma i soccorsi spettano all'Italia. 

Di tragedia in tragedia

I risultati di questa operazione non sono eccezionali: la crisi migratoria si inasprisce e i naufragi in mare aumentano. Nell'aprile del 2015, un'altra tragedia a Lampedusa provoca centinaia di morti. Il nuovo segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, invoca dall'opposizione il "blocco navale" (termine che contesterà anni dopo). E il governo, ora guidato da Matteo Renzi, torna ad accusare l'Ue di non sostenere gli Stati membri più esposti ai flussi. Stavolta, a Bruxelles si raggiunge un'intesa: da un lato, i governi europei si impegnano a ricollocare circa 160mila richiedenti asilo stipati tra i centri italiani e greci. Dall'altro, Roma dà il suo benestare alla missione Sophia. 

Tale missione, come ricorda l'Ispi, "non è nata con il mandato specifico di soccorrere i migranti in mare, ma di contrastare il contrabbando e la tratta". A differenza di Triton (che nel 2018 si trasformerà nell'operazione Themis, attualmente operativa e coinvolta nelle indagini su Cutro), Sophia può però contare su una flotta di navi militari di diversi Paesi Ue (tra cui quelle di Germania e Francia). Il comando della missione resta ancora in Italia, ma la presenza in mare di altri Stati membri aggiunge nuove braccia e nuovi occhi al contrasto dei trafficanti, e anche ai soccorsi. Già, perché sebbene il mandato di Sophia si limiti alla ricerca e allo smantellamento delle imbarcazioni dei trafficanti (a cui si aggiungerà nel tempo l'addestramento della guardia costiera libica), il diritto internazionale impone che qualsiasi nave si trovi vicino a un'altra imbarcazione in pericolo, debba prestare soccorso.

Il pull factor

E così accade che Sophia, nata come una sorta di blocco navale come desiderato dalla destra italiana e da Salvini, si trasformi in un elemento in più, oltre alle navi italiane e a quelle delle ong, per salvare vite nel Mediterraneo centrale e portarle in Italia. Nel quadro della missione, sono state soccorse 44.916 persone. Inoltre, l'azione congiunta di Italia e Ue in Libia, con il controverso accordo con la guardia costiera di Tripoli, ha consentito di ridurre notevolmente le partenze. Complice anche il ridursi della pressione migratoria, con Sophia i morti in mare diminuiscono drasticamente. Tenendo da parte le accuse sulle vergognose condizioni delle carceri libiche e i rapporti tra guardia costiera e trafficanti nel Paese africano, l'operazione sembra un successo. 

Ma Salvini, diventato vicepresidente del Consiglio nel primo governo di Giuseppe Conte, non la vede nello stesso modo: per lui, e per buona parte della destra, le navi militari di Sophia sono pari a quelle delle ong, ossia costituiscono un "pull factor", un fattore di attrazione per migranti e trafficanti. A supporto di questa tesi, c'è un rapporto interno di Frontex, che si limitava a ipotizzare il pull factor, senza però affermarlo con certezza. Negli anni, diverse ricerche hanno dimostrato la mancanza di prove a sostegno fi questa teoria, mentre Frontex si è trovata al centro di furiose polemiche per aver chiuso un occhio sui respingimenti illegali di migranti (in Grecia) e per una gestione quantomeno ballerina dei suoi bilanci e dei fondi pubblici.

La fine di Sophia

Sotto la pressione del governo Conte, Sophia viene chiusa nel 2020, quando a Palazzo Chigi il Pd aveva sostituito la Lega nel sostegno al M5s. Evidentemente, la missione Ue non convinceva neanche il centrosinistra italiano. Al posto di Sophia, viene lanciata l'operazione Irini, che però si limita a vigilare sull'embargo di armi alla Libia. L'unico sostegno europeo ai soccorsi in mare (che restano di competenza degli Stati) è così quello di Themis: di fatto, Frontex si limita a sorvegliare con i suoi aerei e i satelliti cosa accade lungo le rotte migratorie, dalla Turchia al Nord Africa. Se vede barche in difficoltà o che potrebbero essere a rischio, invia la segnalazione a chi di competenza. Lo avrebbe fatto nel caso di Cutro, e lo stesso è successo per il caso di Pylos. Ma come le due tragedie hanno drammaticamente dimostrato, il sistema non funziona a prevenire le stragi e a contrastare i trafficanti.

Il ritorno della navi militari nel Mediterraneo centrale può essere una soluzione? La premier Giorgia Meloni, poco dopo il suo insediamento, aveva rilanciato l'idea di un blocco navale, salvo poi mettere da parte questa proposta. La presenza di più navi lungo le rotte dei migranti può essere un aiuto ai soccorsi, come si è visto con Sophia, ma aggiunge "occhi" che spesso i governi non gradiscono. Lo si è visto nel 2020, quando una nave militare danese soccorse un gommone di migranti partito dalla Turchia e diretto in Grecia: Frontex e Atene chiesero al comandante di riportare i migranti in Turchia. Ma la nave danese si rifiutò, sostenendo che avrebbe messo a rischio la vita delle persone sul gommone. I migranti, alla fine, sbarcarono in Grecia.

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