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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Libia, perché Macron non condanna Haftar (e blocca l’Ue)

La Francia è il principale indiziato dietro l’avanzata del generale verso Tripoli, che ha già provocato 56 morti e oltre 6mila sfollati. Sullo sfondo, la concorrenza con l’Italia per la gestione del Paese e delle sue risorse 

La Francia avrebbe bloccato una dichiarazione dell'Unione europea che esortava il generale Khalifa Haftar a interrompere l'offensiva contro Tripoli e contro il governo di accordo nazionale di Fayez al Sarraj, avvallato dall'Onu. E’ quanto riporta l’agenzia Reuters, subito smentita da Parigi.

Il silenzio di Macron

Al di là delle dichiarazioni a mezzo stampa, è chiaro a tutti che se il presidente Emmanuel Macron non si è ancora espresso ufficialmente sulla crisi in corso da quasi una settimana in Libia e che ha già provocato 56 morti e oltre 6mila sfollati, è perché i legami francesi con Haftar sono da tempo più che stretti. E dietro le mosse del generale, sostenuto anche da Russia e Egitto, in molti vedono una sorta di guerra per procura tutta interna all’Ue tra Francia e Italia, tanto più da quando al potere è salita la coalizione M5s-Lega.

E’ quanto dice più o meno chiaramente l’agenzia Bloomberg, che in un editoriale invita i due Paesi ad accantonare le loro divergenze ed esercitare la loro pressione congiunta per arrestare Haftar. Francia e Italia, infatti, sono gli “outsider” che rischiano di perderci di più dal conflitto. Anche perché gli Usa hanno fatto intendere che stavolta non vogliono essere tirati dentro un eventuale conflitto civile in Libia. Bloomberg si rivolge soprattutto a Parigi, che dovrebbe distanziarsi con decisione dall'offensiva di Haftar, "cessare i suoi sforzi di mediare separatamente la pace, e sostenere invece il processo dell'Onu assieme all'Italia". 

La condanna di Merkel

Più o meno la posizione che l’Ue vorrebbe prendere, come conferma la dichiarazione di oggi della cancelliera tedesca Angela Merkel, in cui si condanna “l'offensiva militare del generale Haftar su Tripoli”  e si invita “lui e i suoi sostenitori a mettere subito fine a tutte le operazioni militari". La cancelliera, si legge in una nota ufficiale del governo tedesco, ha chiamato al Serraj e “ha ribadito che non può esserci una soluzione militare in Libia e che deve essere portato avanti il processo politico sotto guida Onu”.

A quanto si apprende, l’Ue avrebbe voluto ufficiale già ieri una posizione simile, ma la Francia avrebbe bloccato il testo. Parigi nega lo stop, ma di fatto conferma di avere chiesto una modifica del documento congiunto, rafforzando tre punti: lo status dei migranti, il coinvolgimento nei combattimenti in Libia di gruppi sotto sanzioni Onu per terrorismo e i modi per raggiungere una soluzione politica, appoggiata dall'Onu. Punti che evidentemente non hanno trovato consenso presso gli altri partner. 

Come dicevamo, in Libia c'è da tempo un braccio di ferro a distanza tra Francia e Italia. In ballo, c'è un Paese strategico non solo per la gestione dei flussi dei migranti, ma soprattutto per un "tesoro" di non poco conto: il petrolio. In Libia, come è noto, ci sono immensi giacimenti petroliferi, la cui produzione dipende molto dalla stabilità del Paese. A ogni modo, tra alti e bassi, i barili prodotti al giorno sono variati solo nel 2018 dai circa 600 mila a oltre 1,2 milioni. Si è tornati quasi ai livelli della Libia di Mu’ammar Gheddafi

Il ruolo della Noc

A gestire questi giacimenti è la Noc, la National oil corporation, l’autorità libica riconosciuta a livello internazionale. Ed è alla Noc che mira Haftar, che controlla l’Esercito nazionale libico e i centri di potere di Tobruk e Bayda, e che per alcuni sarebbe il cavallo di Troia che il presidente francese starebbe utilizzando per aumentare la quota di petrolio in mano alla Total, la compagnia di bandiera di Parigi. 

Quanto petrolio produce la Libia

Del resto, il piatto è allettante: secondo stime della stessa Noc, entro il 2023 la Libia potrebbe produrre 2,2 milioni di barili di oro nero al giorno. Ma per farlo, servono investimenti per 18 miliardi di euro. E soprattutto, serve stabilità politica. 

I continui attacchi ai pozzi petroliferi e la guerra tra bande che imperversa in tutto il Paese impedisce investimenti e una gestione migliore delle risorse di petrolio e gas. Risorse che al momento vedono l’Eni, insieme a compagnie Usa come ConocoPhilips e Hess, fare la parte del leone grazie ad apposite joint ventires con la Noc. Anche Total ha la sua quota, ma al momento, scrive Il Sole 24 Ore, “produce solo 31 mila barili di petrolio al giorno contro i 384 mila di Eni, la società straniera dominante”.

Le mire di Parigi e l'integrità del Paese

Total, pero’, nel marzo 2018 è riuscita a mettere mano su una quota importante del consorzio Waha, a sud est di Sirte, che ha un alto potenziale: la produzione di 600 mila barili al giorno. Un’acquisizione avvenuta più o meno nelle stesse settimane in cui Macron ha lanciato l’offensiva diplomatica per far sedere intorno allo stesso tavolo Haftar e al-Sarray. 

L’operazione di Macron, compiuta durante il vuoto politico italiano post-elezioni, non è andata giù a Roma. E comunque non ha sortito grandi effetti sul campo, visto che Haftar ha poco tempo dopo cercato di accaparrarsi alcuni terminal petroliferi della Noc. Già, perché è la Noc il vero centro degli scontri, non solo sull’asse Roma-Parigi.  In base alla Risoluzione 2362 del Consiglio di sicurezza dell’Onu, approvata nel 2017, e a diversi divieti internazionali, solo la Noc di Tripoli è considerata legittima e ha il potere di gestire le esportazioni di petrolio. 

Stando a diversi analisti, il piano di Macron, pero’, è di dividere l’ente in due parti, uno dei quali controllato proprio da Haftar. Un piano che comporterebbe anche la divisione della stessa Libia. Ipotesi sui cui l’Italia non sembra disposta neppure a ragionare: per il nostro governo (e per l’Eni) l’integrità della Libia e della Noc vanno di pari passo. L’obiettivo è salvaguardare il tesoretto tricolore nell’ex colonia. E poco importa se per farlo, come hanno raccontato diverse inchieste giornalistiche, si finanzino le stesse milizie che da un lato proteggono i pozzi. E dall’altro gestiscono il traffico di essere umani verso l’Europa. Porti aperti si’. Ma solo quelli libici da cui partono petrolio e gas.     

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