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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Coronavirus, aiuti di Stato andranno anche alle imprese con sede nei paradisi fiscali Ue

Niente da fare per i Governi che intendono chiudere i rubinetti dei sussidi a chi dichiara nei Paesi con imposte societarie bassissime. Bruxelles avverte: “Rispettare libertà garantite dai Trattati”

Chiudere i rubinetti dei finanziamenti pubblici previsti per far fronte al coronavirus a quelle imprese che operano in Italia ma che hanno sede fiscale in un altro Paese Ue potrebbe costare caro al Governo di Roma. La Commissione europea ha, infatti, messo in stand-by le rigide norme comunitarie sulla concorrenza che impedivano ai Paesi di stanziare aiuti di Stato. Ma rimangono vive e vegete tutte le altre regole e, soprattutto, le “libertà fondamentali” dell’Unione, che permettono, tra le altre cose, di spostare la sede della propria impresa nei Paesi che garantiscono imposte societarie meno onerose. Una libertà spesso finita sotto accusa perché incoraggerebbe il fenomeno del dumping fiscale, cioè della corsa al ribasso tra i sistemi di tassazione europei.

I paradisi fiscali Ue

“Gli Stati membri - ha detto oggi una portavoce della Commissione europea - devono attenersi alle libertà garantite dai Trattati Ue, incluse quelle sul libero movimento dei capitali e di persone”. In altre parole, prosegue la funzionaria, “ciò significa che non possono escludere imprese dai piani di aiuti di Stato sulla base della loro sede o residenza fiscale in un altro Paese Ue”. Il chiarimento si è reso necessario - durante la quotidiana conferenza stampa dell’esecutivo Ue - dopo che una giornalista ha chiesto se i Paesi membri avessero il potere chiudere i rubinetti dei sussidi pubblici straordinari a quelle imprese che hanno spostato la sede nei “paradisi fiscali europei” per pagare meno imposte. La giornalista si riferiva probabilmente a Paesi Bassi, Irlanda, Cipro, Malta e Lussemburgo, finiti nel mirino della commissione parlamentare TAX3 e dello stesso Parlamento europeo durante la scorsa legislatura europea. Tali Paesi vengono accusati di essere paradisi fiscali Ue per via delle imposte societarie nettamente più basse rispetto agli altri Stati membri. 

L'orientamento della Commissione

Eppure, tale definizione viene rifiutata dalla Commissione europea, che anche nella giornata di oggi ha ribadito di considerare come paradisi fiscali le sole dodici “giurisdizioni che non cooperano” tra i Paesi extra-Ue. Tra queste ci sono Panama, le Isole Cayman, Palau, le Seychelles e altri Paesi. Tutte le imprese che hanno sede nell’Unione europea vanno invece trattate allo stesso modo, ribadisce Bruxelles. Che per il momento non minaccia, ma lascia intendere, che i Paesi che non rispettano le “libertà garantite dai Trattati” andranno incontro a una procedura d’infrazione.

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