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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Brexit, Londra nel caos: i sei scenari della crisi

I conservatori hanno chiesto la sfiducia di May che ora deve lottare per mantenere la leadership del partito, il tutto mentre il conto alla roversia sul divorzio è agli sgoccioli

Il Regno Unito è sempre più nel caos. Mentre Theresa May era impegnata a girare le capitale europee in cerca di "ulteriori rassicurazioni" sulla spinosa questione del confine irlandese, il destino dell'accordo sulla Brexit questa mattina è arrivata la conferma della richiesta di sfiducia da parte di ribelli del suo stesso partito. Quarantotto lettere con la richiesta di un cambio di leadership sono state formalmente inviate e oggi ci sarà un voto tra i conservatori che potrebbe aprire una nuova sfida per la guida dei Tory. La premier, che si è detta pronta a combattere con tutte le sue forze, avrà bisogno del supporto di almeno 158 conservatori per poter rimanere alla guida del partito e quindi del governo. Proprio ieri ci sarebbe dovuto essere il voto sull'accordo Brexit ma è stato posticipato a data da stabilire (dovrebbe avvenire entro il 21 gennaio) in seguito alla sentenza della Corte Ue che ha stabilito che Londra potrebbe legalmente revocare unilateralmente l'articolo 50 dei Trattati Ue e cancellare la Brexit in maniera unilaterale. Un'ipotesi che diventa sempre più probabile, perché darebbe al Paese più tempo per decidere come affrontare al meglio la Brexit e risolvere le crisi politica interna. Il futuro del Paese è quindi sempre più incerto e si aprono diversi possibili scenari.

May sfiduciata dai suoi

Se la premier dovesse essere sfiduciata si arriverebbe a una nuova corsa alla guida del partito che potrebbe svolgersi in tempi molto brevi, potrebbero bastare 10 giorni per arrivare al voto finale tra due candidati. Il vincente si troverebbe a dover formare un nuovo governo e se ci riuscisse potrebbe provare a riaprire il tavolo delle trattative con Bruxelles. Se May dovesse vincere avrebbe la certezza di restare in sella per almeno altri 12 mesi, nei quali i conservatori non potranno più sfiduciarla, e cercare di ricompattare il partito dietro di sé. Naturalmente la sua forza dipenderà anche dal margine della sua vittoria, se il margine sarà piccolo la premier ne uscirà comunque molto indebolita.

No deal

L'ipotesi più catastrofica per il Paese, seppur non temuta dall'ala più dura dei conservatori, è quella che da questa crisi non si trovi una via d'uscita e che il 29 marzo dell'anno prossimo ci sia una Brexit dura, senza accordo. Questo significherebbe che da un giorno all'altro il Regno Unito si troverebbe ad essere trattato dal resto d'Europa come una qualsiasi altro Stato extra comunitario. Le conseguenze per le imprese sarebbero dure e gli allarmi per evitare questa ipotesi sono arrivate da più parti, recentemente anche dalla Bank Of England che ha spiegato che potrebbe arrivare una recessione come quella degli anni '30.

Ampia rinegoziazione

Se il parlamento boccerà l'accordo, il governo potrebbe proporre di rinegoziare. Non si tratterebbe di qualche modifica marginale per arrivare a un secondo voto. Ma la strada ora sembra meno praticabile, dopo il rinvio del voto di ieri e il viaggio May tra le capitali europee alla ricerca di chiarimenti. Si tratterebbe di una rinegoziazione completa che richiederebbe probabilmente tempo e un'estensione dei due anni di trattative previsti dall'articolo 50 dei trattati Ue. Londra dovrebbe prima chiedere un'estensione, che andrebbe accettata all'unanimità dai Ventisette, poi dovrebbe modificate la legge sulla Brexit per cambiare la "data d'uscita", e portare la modifica in parlamento. Ma la Ue potrebbe anche rifiutarsi di riaprire il negoziato.

Elezioni anticipate

Theresa May potrebbe decidere di uscire dall'impasse convocando nuove elezioni in modo da ottenere un mandato politico sull'accordo raggiunto, ma l'ultima volta che lo ha fatto ha finito per perdere la maggioranza quindi l'ipotesi sembra improbabile. In ogni caso May, se volesse rischiare, potrebbe chiedere al parlamento elezioni anticipate e i due terzi del parlamentari dovrebbero votare sì. La prima data utile sarebbe 25 giorni lavorativi dopo il voto parlamentare. Anche in questo caso potrebbe venire chiesta un'estensione dei due anni previsti dall'articolo 50. Ma le elezioni potrebbero arrivare anche da un'altra strada.

Sfiducia

Se l'accordo verrà respinto l'opposizione potrebbe chiedere un voto formale di sfiducia. In base alle norme parlamentari britanniche se il governo perde la fiducia del parlamento gli esiti sono vari. Se nessun governo, né il governo in carica né un eventuale governo alternativo, ottiene la fiducia entro 14 giorni, si va al voto anticipato, al più presto 25 giorni lavorativi dopo. È l'ipotesi preferita dal Labour di Jeremy Corbin. Se invece il governo ottiene la fiducia entro i 14 giorni, magari facendo qualche concessione, tira avanti. Un'altra possibilità è un cambio di governo, di minoranza conservatore, di coalizione, di un altro partito: la politica sulla Brexit cammbierebbe si tornerebbe alle varie opzioni.

Secondo referendum

Se il governo decidesse per un secondo referendum, sarebbe già troppo tardi perché possa tenersi entro il 29 marzo prossimo. E non potrebbe essere automatico. La legge prevede che venga approvato un nuovo testo di legge per l'indizione della consultazione, le norme di voto e gli aventi diritto. Non va approvato d'urgenza perché la commissione elettorale deve poter dire la sua sul quesito referendario. Una volta indetto il referendum, non è possibile votare subito. Serve un periodo di campagna referendaria. In tutto potrebbero volerci al minimo 22 settimane e si andrebbe ben oltre fine marzo. Anche qui si potrebbe ritirare l'articolo 50 per ottenere più tempo.

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